martedì 1 marzo 2011

C’era qualco­sa, nel discorso del Papa alla Pontificia accademia per la vita di sabato, che forse nei titoli dei giornali è sfuggito (Corradi)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

OLTRE LA SOLITUDINE DI RIMPIANTI CENSURATI E DOLORI NASCOSTI

Lo sguardo che davvero serve sull’oscura ferita dell’aborto

MARINA CORRADI

C’era qualco­sa, nel discorso del Papa alla Pontificia accademia per la vita di sabato, che forse nei titoli dei giornali è sfuggito. Certo, Benedetto XVI ha parlato nei termini rigorosi del magistero della Chiesa: aborto come violazione della coscienza morale, aborto che «distrugge la donna» e «acceca a coscienza». E però Benedetto XVI non si è fermato alla condanna.
Un’ampia parte del discorso si incentra sul 'dopo', su ciò che accade a una donna quando ormai la scelta è fatta, e quel figlio perduto. E qui il rigore del magistero, e quindi della verità che la Chiesa ritiene di dovere annunciare, lascia il posto alla carità. In uno sguardo su molte in quei milioni di donne che hanno abortito, e si ritrovano addosso, anche dopo molti anni, una oscura ferita. Ferita diffusa eppure quasi segreta, di cui pubblicamente non si parla. Non ne parlano gli uomini, perché non sanno, o non vogliono sapere; non ne parlano le donne, che avvertendo quel dolore come rigorosamente privato; oppure troppo cresciute nell’idea di aborto come 'diritto', per poterlo oggi chiamare dolore; troppo educate nell’idea di essere padrone assolute di sé, per ammettere che c’è infine qualcuno a cui di quel 'no' chiedere perdono. Il Papa chino, dunque, su questa ferita, comune a madri e a figlie, aperta eppure nascosta sotto a tante case, come un’acqua carsica che non si vede in superficie. Non con le povere parole con cui ci si consola fra noi, come si può – «è andata così, non potevi fare altrimenti, ormai è tardi, non pensarci più».( Le consolazioni fasulle che non leniscono, e anzi lasciano più sole). Di fronte a quel dolore, per il Papa non basta niente di meno di Dio. Un Dio che «non abbandona mai», ma che tenacemente continua a cercare chi se ne è andato.
Un Dio che parla nella voce della coscienza. (Dio è in quel non poter dimenticare, nel non lasciarsi pacificare da ragionevoli considerazioni; preme in quel ricordo dolente, che ritorna magari improvviso, quando ormai si è vecchie, guardando un bambino in carrozzina, per strada).
A queste donne sole con il loro censurato rimpianto Benedetto si rivolge riportando un passo della Evangelium vitae, in cui Giovanni Paolo II esortava quelle stesse donne a non scoraggiarsi, e a non abbandonare la speranza: «Sappiate – diceva – comprendere piuttosto ciò che si è verificato, e interpretatelo nella sua verità». Invito a dire a se stesse ciò che quell’aborto è stato, ad ammainare le bandiere di diritti e ideologie, e ogni rivendicazione delle magari concrete ragioni per quel 'no'; a dirsi che quello, semplicemente, era un figlio, e che per un simile male occorre un perdono che solo Dio può dare. Per quella ferita non basta nulla di meno della misericordia di Dio – tanto più grande della nostra giustizia di uomini. La nostra giustizia che assolve o condanna, ma non restituisce mai ciò che è stato, non sana l’innocenza offesa di una vittima, né la disperazione di un condannato. Invece la misericordia – «amore di viscere materne», nella radice ebraica – è un’altra giustizia, una divina 'giustizia', che ricrea. E dunque fra le righe di quel documento lo sguardo si allarga su tante donne; che un giorno, da ragazze, sole, o spaventate, o convinte di esercitare ciò che un indottrinamento capillare ha chiamato 'diritto', hanno rifiutato un figlio.
Magari poi ne hanno avuto uno, e hanno capito cos’era, quell’altro negato; oppure di bambini, magari ansiosamente cercati, non ne sono più arrivati, e quel ricordo ora somiglia a una condanna. E «non pensarci più», sanno dire solo gli altri, come chiudendo quel dolore nel recinto del nulla. Solo in Dio quel rimpianto non è un povero pensiero annichilito, ma è abbracciato, e anzi, scrisse Giovanni Paolo II, «alla sua misericordia potete affidare il vostro bambino». Che dunque è, e non sta nel niente.
Benedetto XVI lo ridice con le parole del suo predecessore, tanto amato, e non solo dai credenti. Come avvalendosi della testimonianza di un fratello maggiore. Quasi usando quel volto così caro come quello di un forte testimone; nel chinarsi di nuovo su una ampia, taciuta ferita.

© Copyright Avvenire, 1° marzo 2011

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