venerdì 18 marzo 2011

Crocifisso a scuola, Mons. Giordano: Bella pagina per l’Europa. I giudici hanno avuto il coraggio di andare in profondità, senza condizionamenti

CROCIFISSO A SCUOLA

Bella pagina per l’Europa

I giudici hanno avuto il coraggio di andare in profondità, senza condizionamenti

Mons. Aldo Giordano - osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa

Il fatto che la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo abbia voluto fondamentalmente ribaltare una sentenza adottata in precedenza da una Camera all’unanimità, è un segno di buon senso, di saggezza e di libertà. Non si può sconvolgere superficialmente una civiltà. I giudici hanno avuto il coraggio di andare in profondità, senza condizionamenti. La sentenza contribuirà a dare fiducia nella Corte e nelle Istituzioni europee da parte di un’alta percentuale dei popoli dell’Europa.
La sentenza ha acquisito valore simbolico ben oltre il caso italiano. Basti pensare alle reazioni suscitate dalla prima sentenza a livello mondiale.
Questa sentenza è una pagina di speranza non solo per i cristiani e per i credenti, ma per tutti i cittadini europei che sono preoccupati di non corrodere la grande tradizione maturata nei secoli e quindi la propria identità. Considerare la presenza nello spazio pubblico del crocifisso - il simbolo più significativo e più popolare del cristianesimo - come contraria ai diritti dell’uomo è negare l’idea stessa di Europa. Senza il crocifisso, l’Europa non esisterebbe. Per questo la sentenza è anche una vittoria per l’Europa.
I giudici hanno riconosciuto che la cultura dei diritti dell’uomo non deve escludere la civiltà cristiana. Questa decisione rinforza i fondamenti spirituali e morali dell’Europa, riconoscendo la loro interdipendenza. La cultura dei diritti dell’uomo ha radici nella civiltà cristiana. Non si può negare l’una senza mettere in pericolo l’altra.
Con questa decisione la Corte è quindi fedele agli statuti del Consiglio d’Europa che affermano che gli Stati europei sono “inébranlablement attachés aux valeurs spirituelles et morales qui sont le patrimoine commun de leurs peuples et qui sont à l’origine des principes de liberté individuelle, de liberté politique et de prééminence du droit, sur lesquels se fonde toute démocratie véritable”.
Questa decisione ha anche una profonda portata unificatrice tra i diversi popoli europei. Davanti ai rischio della messa in causa della propria identità, più di venti paesi hanno preso pubblicamente posizione a favore della presenza pubblica del simbolo del Cristo nello spazio pubblico europeo. La Corte ha considerato con attenzione, oltre la posizione dell’Italia, quella dei dieci governi che si sono presentati “parte terza”, “amicus curiae”, a sostegno dell’Italia: Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, S. Marino, Romania e Federazione Russa e di altri 11 paesi che hanno fatto dichiarazioni pubbliche, attraverso il governo o il parlamento o un ministro, a sostegno dell’Italia: Albania, Austria, Croazia, Macedonia, Moldavia, Polonia, Serbia, Slovacchia, Ucraina, Ungheria, Norvegia. È impressionante che ben 22 paesi abbiano voluto far sentire la loro voce consensuale per una sentenza della Corte. Questa Europa esiste e va ascoltata. Questo gesto pubblico condiviso da un così gran numero di stati testimonia il fatto fondamentale che il cristianesimo è al cuore di ciò che unifica l’Europa, aldilà delle divisioni politiche e confessionali. La Corte, rispettando la presenza visibile del cristianesimo nella società, ha così contribuito a rinforzare l’unità della cultura europea.
La Corte ha fra l’altro riconosciuto che l’Europa ha come straordinaria ricchezza una tradizione di tolleranza e di diversità. In Europa è cresciuta una gran varietà di posizioni rispetto al rapporto Chiesa-Stato, all’esposizione dei simboli religiosi, alla propria identità. Voler uniformare non è degno di ciò che l’Europa ha maturato lungo i secoli. La considerazione del principio di sussidiarietà e del margine di apprezzamento proprio dei diversi paesi è rispettare questa ricchezza.
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi davanti a un dato di fatto, cioè la presenza del crocifisso nelle scuole italiane. Un popolo ha deciso, alla luce della sua storia e dei suoi valori, la presenza del crocifisso: perché un organismo internazionale dovrebbe violare la libertà e la identità di questo popolo e costringerlo a costruire la propria casa in modo diverso?
Emerge dalla sentenza del 18 marzo un concetto positivo di rapporto Chiesa-Stato. La Corte non ha voluto imporre a tutti i paesi un’idea di “laicità” estranea alla maggioranza dei paesi aderenti alla Convenzione dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La laicità non significa esclusione, far tabula rasa del sacro dalla sfera pubblica. Spazio pubblico non significa spazio vuoto. La storia ci insegna che uno spazio vuoto è destinato a essere velocemente occupato da ideologie distruttive. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce che la religione non è un affare privato dell’individuo, ma ha una dimensione sociale, collettiva e pubblica (art. 9). Richiedere di togliere il crocifisso non significa neutralità e imparzialità, ma imposizione di una precisa ideologia. Non si può negare la libertà di religione nel nome della libertà di religione!
Sarebbe stato incomprensibile che un organismo europeo come la Corte, in un momento storico in cui si assiste al ritorno della religione sulla scena pubblica e delle Istituzioni europee, avesse compiuto un errore storico nel voler decidere contro l’esposizione del crocifisso che è espressione della fede religiosa, ma anche di una storia e di un’identità di un paese. Sempre più s’impone oggi la domanda circa la possibilità stessa del sopravvivere a lungo termine di una civiltà senza una grande religione che la sostenga e le dia anima. Questo vale anche per l’Europa, il continente che può vantare una lunga storia di civiltà e di cultura.
Altrettanto assurda sarebbe risultata una sentenza preoccupata di eliminare un simbolo come il crocifisso, in un mondo chiamato ad affrontare sfide enormi. L’umanità ha urgente bisogno di un simbolo come il crocifisso, che – se autenticamente interpretato - è unico nel proporre il valore della riconciliazione, il rispetto dell’altro, la legge dell’amore fino al dono della vita; e in particolare è un segno di speranza per le tantissime persone che sono ferite dalla vita e che subiscono il potere del male e del dolore. Perché privare di una fonte di luce le persone che vivono nelle lacrime?
Il simbolo della croce riflette di fatto il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione, ma, per il suo valore umano, dialogico, solidale e spirituale, può anche riflettere il sentire di credenti di altre religioni e non credenti. È paradossale vedere nella presenza del crocifisso, che rappresenta una vita donata fino alla morte per l’umanità, una violazione reale di diritti dell’uomo, un indottrinamento, un proselitismo o una costrizione ad agire contro coscienza o contro il proprio credo.
Occorre essere grati a tutti i paesi e a tutte le persone che si sono impegnate con intelligenza e sensibilità per scrivere questa pagina che fa onore all’Europa, a cominciare dalla Rappresentanza d’Italia presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo con il suo ambasciatore Sergio Busetto e il co-agente, Nicola Lettieri.

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