lunedì 28 marzo 2011

Dal "Cortile dei Gentili", la riflessione del cardinale Ravasi sull’idea di laicità in rapporto ai ‘venti’ riformatori nel mondo arabo (R.V.)

Dal "Cortile dei Gentili", la riflessione del cardinale Ravasi sull’idea di laicità in rapporto ai ‘venti’ riformatori nel mondo arabo

Dopo Parigi, saranno Tirana e Firenze ad accogliere il “Cortile dei Gentili”, e poi molte altre città in tutto il mondo, che si sono già offerte di ospitare quest’iniziativa, volta a rilanciare il dialogo tra credenti e non credenti, fortemente voluta da Benedetto XVI e che ha già riscosso, la scorsa settimana, un grande successo nella capitale francese. Roberta Gisotti ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, responsabile dell’innovativo progetto:

D. - Eminenza, quali suggestioni, emerse da queste giornate inaugurali, intendete approfondire nei prossimi appuntamenti?

R. – L’atmosfera di Parigi è stata di grande aiuto per poter iniziare questo itinerario. C’è stata una partecipazione, soprattutto nell’orizzonte intellettuale, molto forte e molto intensa. A Parigi avevamo veramente tutti gli ambiti possibili, tutti i punti cardinali, che andavano dalla cultura alla società, dai temi scientifici ai temi del diritto, dall’arte alla spiritualità. Poi c’è stata quella conclusione così solenne, con i giovani, nella grande piazza davanti a Notre-Dame. Questo orizzonte così complesso, così vasto, così mutevole, ora noi vorremmo, in un certo senso, renderlo più specifico, svilupparlo per settori. Ed è per questo che vorremmo cominciare a Tirana, erede di un Paese – l’unico al mondo - che ha avuto nella sua Costituzione l’ateismo, come ateismo di Stato in maniera ufficiale, e che ora invece si trova in un’altra prospettiva. Vorremmo iniziare magari più specificatamente sul tema del rapporto tra società e spiritualità o indifferenza religiosa. Questo sarà il primo, ma poi ci allargheremo su temi più specifici. Firenze sarà l’Università in quanto tale, poi ci sarà Barcellona, Stoccolma, Valencia, Quebec, Praga e anche Milano. E’ una sorta di calendario che cresce sempre di più e si ramifica e che in ogni caso diventa sempre più settoriale nel dialogo tra credenti e non credenti.

D. – Il Papa nel suo videomessaggio, trasmesso a Parigi, ha detto che le religioni non devono avere paura di una laicità giusta e aperta, che lascia ognuno libero di credere o no, rispettosa di fronte al diritto di tutti a rimanere fedeli alle proprie convinzioni, e in fraternità con l’altro. Questa indicazione porta a riflettere anche sugli avvenimenti che stanno attraversando in questo periodo il mondo arabo, dove abbiamo società fortemente impregnate dalla religione islamica, che ora vengono aprendosi alla libertà e quindi anche alla libertà religiosa...

R. – Questo tema è sicuramente un tema di grande rilievo, perché c’è il rischio che un popolo cercando, in qualche modo, di liberarsi dalla teocrazia, la quale cancella la laicità, unendo trono e altare - come spesso succedeva in questi Paesi, o almeno in alcuni di essi - togliendo perciò certe forme marcatamente di unificazione tra la cultura e la religione, alla fine si abbia un vuoto, un vuoto interiore, un vuoto di ordine generale, che non è soltanto religioso e spirituale, è un vuoto anche culturale. Per questo credo che il tema della laicità anche in questi Paesi – la corretta laicità – diventerà sicuramente uno dei temi capitali. Devo dire che a Parigi io ho vissuto un’esperienza abbastanza suggestiva, perché nel pranzo ufficiale, che mi ha offerto lo chancelier della Sorbona - il grande rettore magnifico di tutte le Università, tra l’altro, di Parigi - uno dei temi che è emerso alla presenza di grandi figure della cultura francese è stato proprio questo: la laicità, che è effettivamente molto più vissuta con rigore e con apertura in Francia di quanto non accada per esempio in Italia, dove ancora, forse, lo scontro tra clericalismo e anticlericalismo è quasi sotteso a questo discorso. Speriamo perciò che, non solo per questi Paesi, che sono ora in questo momento di travaglio, ma anche per noi stessi, ci sia la possibilità di una rimeditazione su questo, che è uno dei temi fondamentali del dialogo tra credenti e non credenti. (ap)

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