martedì 22 marzo 2011

Focus sull'enciclica "Caritas in veritate". Per capire quale apporto può offrire rispetto a questioni di grande rilevanza sociale (Caterini)

Focus sull'enciclica "Caritas in veritate"

Per capire quale apporto può offrire rispetto a questioni di grande rilevanza sociale

Enrico Caterini*

Il mondo giuridico italiano s'interroga sull'apporto della lettera enciclica Caritas in veritate e nell'Unical si terrà una giornata di riflessione sul tema. La Lettera agevola una rilettura assiologica del sistema delle fonti, nella specifica angolazione della convergenza tra la libertà della persona e la sua dimensione comunitaria. La prospettazione non è nuova alle teorie ermeneutiche, benché ne rimarchi un rinnovato bilanciamento che accentua il ruolo della Comunità Umana (o se si preferisce della Umanità stessa) e ridetermina la portata del concetto di libertà e di potere privato.
Nella Lettera si intravede la riproposizione dell'antica diatriba tra contratto e legge, tra mercato e autorità, lì dove la legge e l'autorità non sono autoreferenziali, auto-legittimati dallo stesso potere che li produce; essi rinvengono una profonda radice eticopositiva che rinvigorisce la forza culturale e democratica sia del contratto che della legge. Un ordinamento non a "circuito chiuso", ma che palesa senza veli un'idea di giustizia sociale, di bene comune e d'utilità sociale. Vi è un "perché" profondo che giustifica il ricorso al sintagma carità-verità, ed è la denuncia del pericolo che il sapere "artificiale" genera nell'esistenza umana. Per sapere "artificiale" intendo quel sapere prodotto dall'uomo ma che lo rende terminale di un circuito automatizzato e passivo, un uomo omologato nelle informazioni ma deprivato della capacità di elaborazione che ne specifica l'identità, la personalità. Il sapere "artificiale" ri-qualifica il rapporto tra l'uomo e il lavoro, tra l'uomo e il suo simile, tra l'uomo e la fisicità circostante, tra l'uomo e il tempo, in sintesi tra l'uomo e il potere. Il lavoro non è più il fine identitario della persona [con buona pace dell'art. 1 della Costituzione] ma il mezzo di sopravvivenza; svilito nel ruolo diviene dominante sull'uomo e lo trasforma in oggetto: l'uomo subisce il lavoro una volta spogliato della sua personalità creativa. Le relazioni tra gli uomini e con il mondo fenomenico assecondano la forza onnivora del sapere "artificiale" che non conosce "gratuità" ma convenienze e utilità reciproche. Tutto è materia di consumo persino i desideri, sui quali l'uomo metafisico proiettava il suo futuro. Smarrito il futuro come momento immaginifico dell'uomo tutto si riduce ad un perenne presente senza le incertezze creative dell'immaginazione e senza storia, non si avverte il bisogno del giusto per essere a sua volta fagocitato da una valutazione meccanica e stereotipata. Il sapere "artificiale" avvilisce l'uomo dinanzi ai dilemmi dell'esistenza umana il quale, impreparato, cerca percorsi narcotizzanti dinanzi alla sofferenza e alla morte. La persona è de-realizzata, smarrisce i suoi contenuti, si concentra sui mezzi, i quali parcellizzati offuscano l'orizzonte etico; la produzione costruisce i bisogni più futili tramutandoli in essenziali e il consumo di essi non bada alla dannosità ambientale. Il sapere "artificiale" costruisce procedure senza contenuti su cui si concentrano risorse e energie (basti pensare al sistema di valutazione della ricerca e della didattica nel università). Ecco perché, il sintagma carità-verità viene evidenziato nella Lettera Enciclica. In essa la gratuità dell'agire umano [il libero volere] non può prescindere dal progetto di convivenza umana, da quella verità dinamica e relazionale che detta il senso del vivere comune secondo pace e giustizia. La Comunità (da munus=servizio, prestazione) diviene il luogo ove l'individuo perde la sua immunità quale autoprotezione difensiva per aprirsi al prossimo e qualificarsi attraverso esso, è il luogo di formazione identitaria con l'apertura dell'io all'altro. Tutto questo anche senza scambio. Dunque, la Comunità come luogo identitario; ma l'identità culturale di una persona [o di una società] richiede una risposta al significato dell'esistenza, per cui l'accento sul ruolo della Comunità posto dinanzi a tale domanda induce a qualificare una civiltà e, quindi, uno Stato con l'aggettivo sociale: l'altruità diviene un valore primario dell'ordinamento. Tanto più necessario quanto più si consideri il radicamento dei costumi individualistici in Italia: basti registrare le analisi critiche svolte - fra tanti - da Leopardi [Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani, 1824], da Gramsci [L'individualista è un partigiano della malavita, 1924] e da Levi [I sommersi e i salvati, 1986]. Il Dipartimento di Scienze Giuridiche Costantino Mortati ha promosso questa rifessione convocando giuristi e filosofi con la presenza dell'arcivescovo emerito monsignor Agostino.

*Direttore dipartimento Scienze giuridiche

© Copyright Gazzetta del sud, 22 marzo 2011

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