mercoledì 9 marzo 2011

"Gesù di Nazaret", secondo volume: un percorso in forma di libro affascinante e denso di sorprese (Lorenzoni)

Sulle orme di Gesù.

Per riconoscerne l'umanità e la divinità e per comprendere la sua Verità.

di RODOLFO LORENZONI

Il viaggio di Joseph Ratzinger attraverso la vita del Salvatore continua e si compie nel secondo volume di «Gesù di Nazareth», riprendendo lì dove si era interrotto nel primo libro, uscito nel 2007.
Allora il Papa cominciò il suo racconto dal battesimo nel Giordano fino ad arrivare alla trasfigurazione sul Monte Tabor; qui tratta della Passione, della morte e della Resurrezione di Cristo. Un itinerario scandito in nove capitoli, con una premessa, un epilogo sulle prospettive storico-teologiche e una vasta bibliografia. Una traiettoria interpretativa rigorosa e profondissima, alla maniera del sommo teologo. Un percorso in forma di libro affascinante e denso di sorprese. A cominciare dal completo rovesciamento operato dal Papa della prospettiva antigiudaica invalsa in talune interpretazioni dei Vangeli. Scrive infatti Ratzinger: «Ma domandiamoci anzitutto: chi erano precisamente gli accusatori? Chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte? Nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze su cui dobbiamo riflettere. Secondo Giovanni, essi sono semplicemente i "Giudei". Ma questa espressione, in Giovanni, non indica affatto – come il lettore moderno forse tende ad interpretare – il popolo d'Israele come tale, ancor meno essa ha un carattere "razzista". L'intera comunità primitiva era composta da Israeliti. In Giovanni tale espressione ha un significato preciso e rigorosamente limitato: egli designa con essa l'aristocrazia del tempio». Parole fondamentali: con esse viene definitivamente spazzata via l'accusa di deicidio rivolta al popolo ebraico, il quale non può essere ritenuto responsabile - né allora né oggi - dell'esecuzione di Gesù. Il processo al Nazareno si sarebbe svolto rispettando le procedure in vigore all'epoca dell'impero, perciò la responsabilità della sua uccisione andrebbe attribuita alle autorità romane. Ma la potenza umana, mostra Ratzinger nel libro, è ben lungi dal poter competere con quella divina: esse, semplicemente, si realizzano su due piani diversi. Quando Gesù, nell'interrogatorio subito da Pilato di cui riferisce il Vangelo di Giovanni, afferma di essere «re», egli rivendica una «regalità e un regno» del tutto diversi da quelli a cui erano abituati i governanti dell'epoca, «con l'annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità. Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno, niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani. Questo regno è non violento. Non dispone di alcuna legione». Tali tesi vengono ampliate e rafforzate nell'interpretazione ratzingeriana del Vangelo di Matteo, ove il teologo divenuto Papa chiarisce il carattere universalmente salvifico del sacrificio di Cristo. «Se secondo Matteo – spiega infatti Ratzinger - "tutto il popolo" avrebbe detto: "Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli", il cristiano ricorderà che il sangue di Gesù parla un'altra lingua rispetto a quello di Abele: non chiede vendetta e punizione, ma è riconciliazione. Non viene versato contro qualcuno, ma è sangue versato per molti, per tutti». Tutto il testo è dunque un concatenarsi di passaggi storico-logici che producono instancabilmente un riavvicinamento della figura di Gesù alla vita di ciascuno di noi. Come nel terzo capitolo del libro, che si occupa anche del Mistero del traditore. «In quell'ora Gesù si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall'essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia. Chi rompe l'amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo "dolce giogo" non giunge alla libertà, non diventa libero, ma schiavo di altre potenze». Siate amici di Gesù, sembra ammonirci Ratzinger. Perché liberarsi di Cristo, secondo l'empio e ingannevole progetto delle società postmoderne e relativiste, non significa altro che rinunciare alla vita vera.

© Copyright Il Tempo, 9 marzo 2011 consultabile online anche qui.

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