mercoledì 23 marzo 2011

Il Concilio rivisto dallo storico de Mattei: “Fu Paolo VI a denunciare l’autodemolizione della Chiesa” (Paolo Facciotto)

Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il Concilio rivisto dallo storico

“Fu Paolo VI a denunciare l’autodemolizione della Chiesa”

Domani a San Marino importante incontro della Fondazione Giovanni Paolo II sul libro di de Mattei

Paolo Facciotto

RIMINI

Importante incontro, domani sera alle 21 nella Sala del Castello di Domagnano (San Marino), con il professor Roberto de Mattei, docente di Storia della Chiesa e del Cristianesimo all’Università Europea di Roma e vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).
La Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II ha organizzato la presentazione del suo libro “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”, editore Lindau. Con l’autore ci saranno Vincenzo Sansonetti, giornalista e scrittore, e il presidente della Fondazione, Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, che tirerà le conclusioni. Al Concilio (1962-1965), nonostante le attese e le speranze di tutti, seguì un periodo di crisi e di difficoltà, con cui la Chiesa si misura tuttora, in Italia e nel mondo. Abbiamo intervistato de Mattei per farci spiegare alcuni temi del libro, un contributo storico e non teologico, sui quali si è aperto un vivace dibattito.

Professor de Mattei, nella conclusione del suo libro lei ha parole di venerazione per Papa Benedetto XVI e lo ringrazia “per aver aperto le porte a un serio dibattito sul Concilio Vaticano II”, chiedendogli poi di “promuoverne un approfondito esame” al fine di “verificare la sua continuità con i venti Concilii precedenti”. Come sappiamo il Papa ha invitato la Chiesa a leggere il Vaticano II secondo l’“ermeneutica della continuità”, e non “della rottura” con il magistero precedente. Eppure lei in alcune recensioni è stato accusato di non credere nella possibilità di questa lettura “in continuità”. Che cosa risponde a queste critiche?

«Nel mio libro, come è evidente a chiunque lo abbia letto, non ho inteso assumere una posizione sull’ermeneutica della continuità. Io ho inteso pormi su di un terreno diverso, storico e non teologico, senza per questo negare l’importanza dell’ermeneutica teologica. Alcuni miei critici hanno commesso un errore epistemologico confondendo piani diversi. Lo storico cerca la verità cosiddetta fattuale, il teologo cerca la verità sul piano dei princìpi alla luce della rivelazione divina. Certo non si tratta di due settori impermeabili ma sono due campi di indagine diversi. La pretesa di giudicare il mio lavoro su aspetti riguardanti altre discipline è un errore epistemologico che io respingo. Nel mio operare mi ispiro agli storici della Chiesa. Lo stesso Papa Leone XIII disse che la Chiesa non deve temere la verità dei fatti e assegnò agli storici il compito di cercare la verità senza inutili veli, perché la Chiesa non ha paura della verità ma della menzogna; la Chiesa è la verità. Questo è il compito dello storico. Se devo essere confutato, mi attendo di esserlo sul piano storiografico, se in tutto o in parte la mia ricostruzione storica fosse vera o falsa, ma non ha senso farlo applicando criteri diversi. Sull’ermeneutica io mi affido al Magistero, al Papa: lui mi assicura che i testi del Concilio Vaticano II vanno letti secondo l’ermeneutica della continuità con il Magistero precedente, perciò mi affido al suo giudizio. La mia opera di storico non riguarda questo aspetto della discussione. Ma ho l’impressione da certe recensioni che i critici non abbiano letto il libro... Molti interventi giornalistici mi sono sembrati mossi da apriori ideologici, in un senso o nell’altro.»

Dal punto di vista storiografico ha ricevuto critiche o approvazioni?

«C’è stato in realtà un solo intervento di uno specialista. Con una lettera privata, che mi ha autorizzato a divulgare nei suoi contenuti, il Cardinal Brandmüller, il più grande specialista vivente della storia dei concilii, presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ha elogiato e apprezzato il mio libro dando un giudizio positivo sul metodo storico usato.
Mentre sul fronte opposto Alberto Melloni della “scuola di Bologna”, specialista della storia del Vaticano II, non della storia dei concilii, nella sua recensione sul Corriere della Sera mi ha mosso l’appunto di alcuni refusi, poi corretti nella seconda edizione del libro, ma nessun rilievo storiografico. Se ha trovato solo questo... Poi ha usato un certo sarcasmo, mostrandosi meravigliato come nel libro uscisse una critica a Pio XII: non è vero, io sono un grande ammiratore di Pio XII e del suo straordinario corpus magisteriale. Nel libro ho mostrato che dal punto di vista del governo talvolta Pio XII non ha avuto fermezza nel reprimere l’errore. E’ un giudizio che può essere condiviso o no, ma è paradossale che ci si meravigli di questo, Pio XII è stato accusato di ben altro e da altri...
Infine, il libro è stato accolto non molto bene da alcuni cattolici preoccupati che potesse apparire in contasto con l’ermeneutica della continuità proposta dal Papa, ma non è vero.»

Mi può fare un esempio, dal suo punto di vista, di affermazioni del Concilio dubbie o riformabili, in rapporto alla tradizione del Magistero?

«Non ho la competenza per poter rispondere a questa domanda.
L’opera di mons. Brunero Gherardini (Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, 2009, ndr) solleva alcuni problemi del genere ma non ho competenza al riguardo. Come storico, osservo che una grave mancanza del Concilio fu la mancata condanna del comunismo, in un momento in cui per i cristiani e il cristianesimo l’espansione dell’imperialismo comunista costituiva il più macroscopico dei problemi. Parliamo di una omissione, ma è una lacuna grave il fatto che il Concilio non abbia detto una parola forte, che sia mancata una voce profetica».

Vorrei affrontare con lei il tema dell’attuazione della riforma liturgica, in rapporto al testo approvato dal Vaticano II, la costituzione sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium, del dicembre 1963. Il Card. Antonelli nelle sue memorie parla di procedure molto poco chiare seguite nella commissione attuativa, il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia: ad esempio la mancanza di verbalizzazione delle sedute, in generale la gran fretta con cui si affrontavano argomenti epocali che avrebbero richiesto al contrario molta calma e ponderazione. D’altra parte il volto che ha assunto oggi la liturgia ordinaria del Novus Ordo, non lo si ritrova quasi per nulla leggendo la Sacrosanctum Concilium. Qual è il suo giudizio di storico al riguardo?

«La riforma liturgica culminata nel Novus Ordo in effetti non è conciliare ma post-conciliare, la ‘nuova messa’ infatti è del 1969.
La Sacrosanctum Concilium si pone in una prospettiva molto diversa e in effetti il punto è il rapporto fra Concilio e post-concilio. Ma non si può affermare che la riforma del ’69 sia una totale contraddizione della Sacrosanctum Concilium.
Il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia fu istituito da Paolo VI proprio per attuare la riforma liturgica ‘implicita’ nella Sacrosactum Concilium. Che poi questa commissione, il Consilium, abbia forzato e deformato certe cose, non cambia la sostanza: storicamente non c’è una cesura fra Concilio e post-concilio. Le radici vanno cercate nel Concilio. Abusi e deformazioni ce ne sono state, però va detto che la maggior parte delle dichiarazioni approvate dal Concilio erano una sorta di ‘leggi-quadro’ la cui applicazione era demandata alle Conferenze episcopali, quindi c’è un certo rapporto di causa-effetto. Oggi la situazione è un po’ paradossale: ieri esisteva il Vetus Ordo; a partire dalla nascita del Novus Ordo, ciò che si è sviluppato nella prassi è una vera e propria anarchia liturgica. Mentre per quanto riguarda il rito antico la messa è la stessa dappertutto, che sia celebrata a Washington o a Roma, in quelle nuove invece, le messe celebrate, mettiamo, a Roma, a Bruxelles o in Africa, sono quasi irriconoscibili l’una con l’altra. Sono contento che il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI abbia restituito piena cittadinanza al rito antico, d’altra parte auspico che ci siano interventi fermi della Congregazione per il Culto Divino per la celebrazione della nuova messa».

Qual è a suo parere il punto decisivo che fece affermare a Papa Paolo VI, il 29 giugno 1972, che il fumo di Satana era entrato nella Chiesa?

«Quello che succedeva in quegli anni. Ci fu la plateale contestazione della sua enciclica Humanae Vitae del 1968 da parte di vescovi, come il Cardinal Suenens che la contestò apertamente…»

Lo stesso Card. Suenens che durante il Concilio era stato uno dei più stretti collaboratori di Paolo VI…

«… così come altri vescovi del centro-Europa la contestarono. E poi la nascita della teologia della liberazione. E il periodo in cui nella chiesa ci fu un’euforia nella liquidazione di altari, paramenti sacri, svenduti in breve tempo e per pochi soldi: fra il ’68 e l’inizio Anni Settanta molti uomini di chiesa sembravano presi dalla frenesia di sbarazzarsi di ogni sorta di uso e costume della Chiesa. Ci fu anarchia. Per questo Paolo VI fece quei due discorsi, in cui parlò dell’autodemolizione della Chiesa (7 dicembre 1968, discorso ai membri del Pontificio Seminario Lombardo, ndr) e del fumo di Satana che era “entrato nel tempio di Dio”».

I lupi vespertini, tuttavia, non sono riusciti a fare razzia completa dell’ovile, non crede?

«Sì, però nella sua prima messa da Papa, Benedetto XVI disse “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi” (inizio del ministero petrino, omelia, 24 aprile 2005, ndr), essendo ben consapevole che i lupi esistono. Noi dobbiamo pregare per lui, ma dobbiamo anche aiutarlo a difendersi dai lupi, ciascuno facendo ciò che sa fare: i teologi facendo i buoni teologi, i pastori facendo i buoni pastori, gli storici facendo i buoni storici. Non è un’ora facile per lui e per la Chiesa, quindi dobbiamo essere consapevoli della drammaticità del momento e impegnarci, tutti in quanto battezzati, ad offrire la nostra testimonianza nella vita di fede».

L’intervista telefonica con de Mattei si chiude qui. Sono passati quasi sei anni eppure sembra ieri, quando Joseph Ratzinger apparve al balcone dicendo di essereun semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”: sorprese tutti. Oggi è lo stesso, la vigna e l’ovile sono sempre quelli, seminascosti nelle oscurità occhieggiano i lupi, ci provano. “Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti”, disse il Papa, “Maria starà dalla nostra parte”.

© Copyright La Voce di Romagna, 23 marzo 2011

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