venerdì 11 marzo 2011

Il Papa: "Gesù agisce e vive nella parola di Dio, non secondo programmi e desideri suoi propri. La sua esigenza si basa sull’obbedienza di fronte all’ordine del Padre" (brani dal primo capitolo di «Gesù di Nazaret», volume secondo)

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

Gesù entra a Gerusalemme: un re diverso da tutti gli altri

Gesù arriva al Monte degli ulivi dalla direzione di Bètfage e Betània, da dove si attende l’ingresso del Messia.
Manda avanti due discepoli ai quali dice che avrebbero trovato un asino legato, un puledro, sul quale nessuno era mai salito. Devono scioglierlo e portarglielo; ad un’eventuale domanda circa la loro legittimazione devono rispondere: «Il Signore ne ha bisogno» (Mc 11,3; Lc 19,31). I discepoli trovano l’asino, vengono – come previsto – interrogati circa il loro diritto, danno la risposta loro ordinata e possono compiere la loro missione.
Così Gesù entra in città su un asino preso in prestito, che subito dopo farà riportare al suo padrone. Al lettore di oggi tutto ciò può sembrare piuttosto trascurabile, ma per i giudei contemporanei di Gesù è gravido di riferimenti misteriosi.
In ogni particolare è presente il tema della regalità con le sue promesse. Gesù rivendica il diritto regale della requisizione di mezzi di trasporto, un diritto noto in tutta l’antichità. Anche il fatto che si tratti di un animale, sul quale non è ancora salito nessuno, rimanda a un diritto regale. Soprattutto, però, c’è un’allusione a quelle parole veterotestamentarie che danno all’intero svolgimento il suo significato più profondo.
C’è innanzitutto Genesi 49,10s – la benedizione di Giacobbe, in cui viene assegnato a Giuda lo scettro, il bastone del comando, che non sarà tolto tra i suoi piedi «finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli». Di Lui si dice che Egli lega alla vite il suo asinello (49,11). L’asino legato rimanda quindi a Colui che deve venire, a cui «è dovuta l’obbedienza dei popoli».
Ancora più importante è Zaccaria 9,9 – il testo che Matteo e Giovanni citano esplicitamente per la comprensione della «Domenica delle Palme»: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma» (Mt 21,5; cfr Zc 9,9; Gv 12,15). Egli è un re che spezza gli archi da guerra, un re della pace e un re della semplicità, un re dei poveri. Tutto ciò allora non era percepibile, ma in retrospettiva si rende evidente quanto – nascosto nella visione profetica – era appena accennato solo da lontano.
Per ora teniamo a mente: Gesù rivendica, di fatto, un diritto regale. Vuole che si comprenda il suo cammino e il suo agire in base alle promesse dell’Antico Testamento, che in Lui diventano realtà. L’Antico Testamento parla di Lui – e inversamente:
Egli agisce e vive nella parola di Dio, non secondo programmi e desideri suoi propri. La sua esigenza si basa sull’obbedienza di fronte all’ordine del Padre.
Il suo è un cammino all’interno della parola di Dio. L’ancoraggio a Zaccaria 9,9 esclude al contempo un’interpretazione «zelota» della regalità: Gesù non si fonda sulla violenza; non avvia un’insurrezione militare contro Roma. Il suo potere è di carattere diverso: è nella povertà di Dio, nella pace di Dio, che Egli individua l’unico potere salvifico.
Ritorniamo allo svolgimento del racconto.
L’asinello viene condotto a Gesù, e ora avviene qualcosa di inaspettato: i discepoli gettano sull’asino i loro mantelli; mentre Matteo (21,7) e Marco (11,7) dicono semplicemente: «Ed Egli vi si pose a sedere», Luca scrive: «Vi fecero salire Gesù» (19,35). Anche lo stendere i mantelli ha una sua tradizione nella regalità di Israele (cfr 2Re 9,13). Ciò che i discepoli fanno è un gesto di intronizzazione nella tradizione della regalità davidica e così nella speranza messianica, che da questa tradizione si è sviluppata.
I pellegrini, che insieme a Gesù sono venuti a Gerusalemme, si lasciano contagiare dall’entusiasmo dei discepoli; stendono ora i loro mantelli sulla strada sulla quale Egli avanza. Tagliano rami dagli alberi e gridano parole del Salmo 118 – parole di preghiera della liturgia dei pellegrini di Israele – che sulle loro labbra diventano una proclamazione messianica: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!» (Mc 11,9s).
C’è innanzitutto l’esclamazione: «Osanna!». All’origine, questa era stata una parola di supplica, come: «Deh, aiutaci!».
Nel settimo giorno della festa delle Capanne, i sacerdoti, girando sette volte intorno all’altare dell’incenso, l’avevano ripetuta in modo monotono come supplica per la pioggia. Ma così come la festa delle Capanne da festa di supplica si trasformò in una festa di gioia, la supplica divenne sempre di più un’esclamazione di giubilo. Probabilmente già ai tempi di Gesù, la parola aveva assunto anche un significato messianico. Possiamo così nell’esclamazione «osanna» riconoscere un’espressione dei molteplici sentimenti sia dei pellegrini venuti con Gesù sia dei suoi discepoli: una lode gioiosa a Dio nel momento di quell’ingresso; la speranza che fosse arrivata l’ora del Messia e al contempo la richiesta che si realizzasse nuovamente il regno di Davide e con esso il regno di Dio su Israele.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

© Libreria Editrice Vaticana

© Copyright Avvenire, 11 marzo 2011

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