giovedì 10 marzo 2011

Nel libro su Gesù citati solo tre cardinali stranieri. Gli unici italiani sono due laici ed un vescovo (Izzo)

LIBRO PAPA: CITATI SOLO TRE CARDINALI STRANIERI, UNICI ITALIANI sono DUE LAICI E UN VESCOVO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 10 mar.

E' un giornalista ad avvertire il card. Walter Kasper, da qualche mese presidente emerito del Pontificio Consiglio per l'unita' dei cristiani, che il suo nome e' citato dal Pontefice nel libro "Gesu' di Nazaret - Dall'ingresso in Gerusalemme alla Risurrezione".
"Non me lo immaginavo. Ne sono felice", commenta quando apprende che,, con il teologo Wolfhart Pannenberg, e il card. Christoph Schoenborn, l'arcivescovo di Vienna ed ex allievo di Ratzinger, anche lui figura nella "premessa" elencato tra gli autori di "importanti cristologie, alle cui opere - scrive il Pontefice - si deve ora affiancare il grande opus di Karl-Heinz Menke, 'Jesus ist Gott der Sohn'". Scorrendo la ricca bibliografia si incontra poi solo un altro porporato: il gesuita francese e grande biblista Albert Vanhoye, che nel 2008 tenne gli esercizi spirituali al Papa e alla Curia Romana. Nell'elenco ci sono solo tre italiani: Vittorio Messori, giornalista e saggista che firmo' con Ratzinger ilbest seller "Rapporto sulla fede", il filosofo Giovanni Reale, commentatore scelto da Giovanni Paolo II per le poesie del suo "Trittico Romano", e un vescovo toscano da poco somparso, mons. Alberto Giglioli, autore di profondi commentari biblici. Suona italiano, pero', anche il nome di Romano Guardini, grande teologo tedesco che Ratzinger riconosce come un suo maestro.
La citazione di Kasper e della sua eccellente Cristologia, il Papa ha voluto farla per rendere omaggio all'anziano porporato suo connazionale ma anche per spiegare che il proprio intento e' piu' modesto: il libro, infatti, non e' un trattato di teologia in senso classico, "non ho tentato - assicura infatti - di scrivere una cristologia", ne' una nuova Vita di Cristo. Piu' semplicemente, spiega il Pontefice, "ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il 'Gesù storico' in senso vero e proprio. Io sono convinto che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente". "Esagerando un po' - aggiunge - si potrebbe dire che io volevo trovare il Gesu' reale, a partire dal quale, soltanto, diventa possibile qualcosa come una cristologia dal basso. Il gesu' storico, come appare nella corrente principale dell'esegesi critica sulla base dei suoi presupposti ermeneutici, e' troppo insignificante nel suo contenuto per aver potuto esercitare una grande efficacia storica; e' troppo ambientato nel passato per rendere possibile un rapporto personale con Lui. Coniugando tra loro le due ermeneutiche". Nello stesso modo, promette il Papa confermando le voci su un terzo volume che ad 83 anni compiuti starebbe gia' scrivendo, "voglio tentare di rimanere fedele alla mia promessa e presentare su tale argomento ancora un piccolo fascicolo, se per questo mi sara' data la forza".
Commuove nella "premessa" la modestia, l'umilta' del Papa-autore che confida di essersi sentito sostenuto dall'apprezzamento ricevuto per il primo volume del "Gesu' di Nazaret". "Considerata la molteplicita' delle reazioni alla prima parte, cosa certamente non sorprendente, costituiva per me - scrive - un prezioso incoraggiamento il fatto che grandi maestri dell'esegesi mi abbiano esplicitamente confermato nel progetto di procedere nel mio lavoro e di portare a termine l'opera incominciata. Senza identificarsi con tutti i dettagli del mio libro, essi lo ritenevano dal punto di vista sia contenutistico che metodologico un contributo importante che doveva raggiungere la sua forma completa". Bendetto XVI cita poi il "Jesus" del luterano Joachim Ringleben definendo il volume "un fratello ecumenico" della sua opera. Si nota, osserva, "la diversa provenienza confessionale dei due autori", ma "al tempo stesso si manifesta la profonda unita' nell'essenziale comprensione della persona di Gesu' e del suo messaggio. Pur con approcci teologici differenti e' la stessa fede che agisce, avviene un incontro con lo stesso Signore Gesu'. Spero che ambedue i libri, nella loro diversita' e nella loro essenziale sintonia, possano costituire uan testimonianza ecumenica che in quest'ora, a modo suo, puo' servire alla comune missione fondamentale dei cristiani".
Il Papa teologo pero' non si astiene dal chiarire che, secondo lui, l'esegesi classica mostra ormai la corda e finisce con l'allontanare molti studiosi dalla fede. "Una cosa - scrive - mi sembra ovvia: in 200 anni di lavoro esegetico, l'interpretazione storico critica ha ormai dato cio' che di essenziale aveva da dare. Se la esegesi biblica scientifica non vuole esaurirsi in sempre nuove ipotesi diventando teologicamente insignificante, deve fare un passo metodologicamente nuovo e riconoscersi nuovamente come disciplina teologica, senza rinunciare al suo carattere storico". Per il Papa "l'ermeneutica positivistica" deve dunque lasciare il passo ad "una specie di ragionevolezza storicamente condizionata, capace di correzioni e integrazioni e bisognosa di esse", e riconoscere che "un'ermeneutica della fede sviluppata in modo giusto e conforme al testo" puo' congiungersi con un'ermeneutica storica, consapevole dei propri limiti per formare un'interezza metodologica". In ultima analisi, sostiene, "si tratta di riprendere finalmente i principi metodologici per l'esegesi formulati dal Concilio Vaticano II nella Dei Verbum, un compito finora purtroppo quasi per nulla affrontato".
Benedetto XVI prende infine un po' ruvidamente le distanze da Cristologie di altri autori che non cita, del che essi gli saranno certamente grati (anche se per gli esperti non e' difficile individuarli): "mi sembra presuntuoso e insieme sciocco - spiega - voler scrutare la coscienza di Gesu' e volerla spiegare in base a cio' che egli, secondo la nostra conoscenza di quei tempi e delle loro concezioni teologiche, puo' aver pensato e non pensato".

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