mercoledì 9 marzo 2011

Nel nostro Venerdì ci dica, Santità, dell’unica speranza vera. Il Papa accetta le domande dei semplici (Corradi)

IL PAPA CHE ACCETTA LE DOMANDE DEI SEMPLICI. LE DOMANDE CHE VORREMMO FARGLI

Nel nostro Venerdì ci dica, Santità, dell’unica speranza vera

MARINA CORRADI

Che cosa chiederanno i fedeli a Benedetto XVI, il giorno di Venerdì Santo durante 'A Sua immagine' su Raiuno?
Non saranno le domande dei dotti, in questo seducente inedito esperimento di comunicazione, ma della gente comune; e non in un giorno qualsiasi, ma nel giorno dell’oscurità e del dolore.
Nell’ora del silenzio, tre domande e tre risposte, altre dal nostro consueto rumore.
Cosa domanderemo allora, da quel microfono sporto verso la bocca del Papa?
Forse qualcuno avrebbe già in mente una domanda, pensi, guardando in questa vigilia di Quaresima le facce dei passeggeri sul metrò di Milano – come sembriamo tutti stanchi nella luce fredda, e quanto segnate le facce dei più vecchi. Cosa potrebbe domandare per esempio a Benedetto XVI quel signore distinto, sui cinquanta, la valigetta 24 ore un po’ usurata, un’incipiente calvizie, la fronte aggrottata mentre consulta una sua agenda fitta di impegni; la fede al dito che racconta di una moglie, e forse di figli da mantenere? Sembra così affannato lo sconosciuto, come sempre di corsa ad agguantare un cliente, con fatica, in questi tempi di crisi; dal lunedì al venerdì così, un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro, e intanto si invecchia e poi ci si guarda indietro smarriti: tutta questa fatica, per cosa? Come c’entra, chiederebbe il signore con la 24 ore sgualcita, questo oscuro fare quotidiano, pressati dall’ansia e dal bisogno, con quel Dio in cui pure io credo, ma che mi sembra, da questo mio correre, così lontano? Santità, mi spieghi, mi indichi dov’è Cristo, in queste mie giornate affannate e distratte: me lo mostri, perché io non riesco a riconoscerlo.
E quella donna filippina, ancora giovane, ma già con due ragazzi adolescenti accanto?
Entrambi con la cuffia dell’iPod sulle orecchie, quindici anni suppergiù, lo sguardo annoiato fisso sul nero del tunnel oltre il finestrino – lei, invece, li guarda con una specie di impotente tenerezza, come vedendoli sempre più lontani e stranieri.
Santità, come si fa, oggi, a spiegare ai figli che occorre studiare, e lavorare, e fare fatica? Guardano la tv, sognano, si incupiscono nel rancore perché sono figli di povera gente.
Come faccio a dir loro ciò di cui io sono certa – che esiste un Dio che ci ama e ci conosce ognuno, tutti, anche i poveri, anche loro? – Io non so più trovare le parole: Santità, mi aiuti.
Il metrò corre nel ventre di Milano, nei vetri che ci riflettono le nostre facce si allineano, mute ed estranee. E quella coppia di vecchi, laggiù? Una eleganza di altri tempi, lei con un filo di perle e i capelli d’argento, lui austero, alto, l’aria di chi è stato importante, ma con sul viso smagrito come un pallore e quasi un’eco di sottile spavento? Lei gli parla a bassa voce, sorride come volendo distrarlo; lui porta con sé una busta bianca – sembra una lastra radiografica – e la stringe fra le mani contratte. Scendono vicino a un grande ospedale. Lei lo tiene a braccetto, ma è come se conducesse un bambino. Santità, domanderebbe forse l’anziana signora con il marito alto e pallido, siamo sposati da 40 anni e lui è malato, anche se non gli ho detto cos’ha. Ho una infinita paura: cosa sarà di lui, e di me? Siamo ricchi, credevamo di avere tutto, e scopriamo le nostre mani vuote, in questo Venerdì Santo. Santità, ci dica di nuovo – lo sapevamo da bambini, ma l’abbiamo scordato – in chi, in che cosa possiamo sperare. Ma che sia una speranza ragionevole, concreta: vera tanto quanto il desolato bianco reparto di ospedale, dove ci aspettano. Perché niente di meno ci basta, di una speranza che si possa toccare.
Il metrò corre via lasciandosi dietro la vecchia coppia con il suo destino; che è poi il nostro, di tutti. Santità, ci dica, lei che ha visto tanto, lei che in Dio crede davvero – lei, se possiamo permetterci, che Lo conosce bene – ci dica ancora, in questo Venerdì di oscurità, che nome ha, e che faccia, l’unica speranza vera.

© Copyright Avvenire, 9 marzo 2011

1 commento:

a.c. ha detto...

molto bello